Vertebra nasce da uno scontento tutto privato, tutto capitalistico: non aver avuto il posto promesso nel Grande Mondo, non avercela "potuta fare" in tempo per i nostri memorabili vent'anni. Nei Non Luoghi dove la letteratura si muove, ed al contempo si nasconde, in questa epoca assurda, pare, non c’era posto per noi. Ci abbiamo provato: abbiamo provato a fare la fila, ad aspettare i responsi delle Edizioni, abbiamo provato il sapore chic-ribelle della finta clandestinità, il gusto neutro e plastificato della letteratura da salotto, ci siamo entusiasmati dell’ormone della poesia, ci siamo concessi alle frivolezze lascive della giovinezza letteraria, ci siamo addestrati alla severità draconiana dell’Accademia, ma non ci è piaciuto.
La tensione privata ci ha fatto cavalieri della fede, e non potevamo non rigurgitarla fuori: onde evitare la prepotenza di scacciare il chiodo col chiodo, di occupare ed abusare spazi vecchi e inospitali con la nostra letteratura nuova nuovissima (come un elettrodomestico sovietico, senza obsolescenza programmata) ma altrettanto inospitale e inospitabile, abbiamo scelto l’arroganza della creazione.
Lo stato attuale dell'editoria italiana è notoriamente, fragorosamente criminale. Percentuali folli, linee editoriali vergognose acchittate ad hoc per soddisfare il gusto pantofolaio di carrieristi arrapati e pasciuti, influencer arrapat*, vintaggeri barzotti e intellettualoidi scamosciati, dottorandi arrapati, zii e zie senza idee per il regalo di natale ai nipoti "che leggono" (e probabilmente anche loro arrapati), un fuck-fest che quando non pubblica "novitá" rimescolate in salsa instagram, divulgatori di quint'ordine e mielose giovani leve che in comune con la merda hanno anche la tendenza al venire a galla, e solo per questo "emergenti", arrotonda il magro salario svecchiando polverositá già vecchie di mille e uno anni con un'abbondante dose di lubrificante plasticoso. Da questo fuck-fest di libidine, presunzione, gagging mafioso, monopolio di fellatio, autofellatio e feticizzazione (delle copertine, della carta, dei nomi degli autori, del poshlust, del kitsch) ci siamo tirati fuori. Non siamo i primi (i "colleghi" di GOG, luce dei nostri occhi fuochi delle nostre anime pls notice us senpai, e Ventizeronovanta, giusto per dirne alcuni, sono i patriarchi di questa avventatezza) e non saremo gli ultimi. Abbiamo scelto la pubblicazione spontanea, quasi-zine (cannibalizzando Cannibale, svuotando il midollo di T.V.O.R.) senza mediazioni e senza compromessi, con spontaneità, finanziandoci con gli spicci del rimpatrio e con risparmi elemosinati a mami e papi o sottratti da lavoretti part-time.
Per questo motivo, se volete il nostro piccolo incubo formato A5 nelle vostre sudicie manine, dovrete sperare nella fortuna di abitare in uno di questi quattro posti del mondo: Bari, Venezia, Roma o Lyone, e nella fortuna ulteriore di incontrare uno dei nostri garzoni-scassacazzo che vi chiederanno un euretto per il caffè, peggio di Lotta Comunista. Pensateci bene: volete davvero che i vostri sudati soldi-di-mamma vengano spesi in droga? No? E allora dateceli a noi, che li spenderemo comunque in droga ma non ve lo faremo sapere.
Se non disponete di queste due fortune, potete sempre scaricare la copia digitale di ogni numero moltiplicato per sette senza il resto di uno dal nostro sito, gRraTiS!!!!! Potrete pure donarci altra cuccagna, sempre dal sito, ovvero quanto circa vi pare a voi, per la nostra sopravvivenza e per la nostra ebrezza.
Non volendo partecipare a questo gioco di carezzositá e tributatio benevolentie, in virtù di una vera e propria deformazione professionale che ci ha reso forse ipersensibili allo schifo con cui non vogliamo spartire lo scaffale, abbiamo anche preferito tirarci completamente fuori dalla classe professionale a cui vengono solitamente ricondotti i parolieri e gli idioti che scrivono poesie dopo la maggiore età. Non chiamiamo dunque più questi massimi cretini arroganti scrittori: chiamiamoli artefici. Tecum enim res erit, eversor iuris humani mostrorumque artifex. Chiamiamoli secondo questo adagio di Plinio: artefici di mostri. Lasciamo quelle infelici categorie (scrittore, poeta, artista, intellettuale...) a quegli impiegati dell'arte, a quei Baricco, a quei Carofiglio, a quelle Allende, a quei Kundera, a quei Raboni, a quelle Rupi Kaur, a quei poetini sciacquapalle, a quegli scrittori sfogaciole, alla surretizia logica del serio borghese. Noi non scherziamo: presso di noi si gioca, e si gioca con i mostri, nella disfida che le vale tutte, nell'unica che vale. Per capovolgere laformula di Labranca:
teratomorfismo ➔ cialtronismo ➔ iperconvinzione.
che abitiamo fieramente, onde produrre melanzane tettamanziche e pinocchi cesiani.
Il nostro programma politico: arrestare tutti gli universitari, chiudere quei cessi ignobili e inutili di scuole d'arte, decapitare tutti gli artisti. Il nostro programma esistenziale: essere di periferia, abitare la battaglia, non essere attesi da nessuno. Noi non ricordiamo, noi dimentichiamo tutto – e non ricordiamo nemmeno ciò che è degno di essere dimenticato. Abbiamo l'oblio nella memoria, abbiamo il gioco nell'anima, e nostalgia della nostra inutilità.
Se è vero che la filosofia nelle università va a svernare, lo è anche che l'arte nei musei va a decomporsi. Lo stesso vale per i libri nelle case editrici, forse anche per le parole nelle riviste: "scripta manent" non fu mai un encomio dello scritto, e Clemente Alessandrino metteva in guardia dai libri. Noi vogliamo ridare lustro a questo antico terrore. Se tutta la storia è storia della phoné, i nostri poeti (at)tentano il graphós: come il Compianto Ettore Murena, i suoi versi ferroginosi e da discarica, come le pretese lagerfeldiane di una poesia che non taglia stoffe ma lamiere. Lacereremo i significanti sonori, inciamperemo il non-detto, esaleremo un efflato di lame taglienti: «di modo che non si possa più dire: questa è Gezabele». O di modo che si possa finalmente realizzare, come soluzione al "grande problema dell'Epoca", la bella polemica di Parigi: abbandonare finalmente la lettura, muovendosi verso una pedagogia del semianalfabetismo. E magari, grazie alla poiesi spontanea degli editori, disastro miracolante o miracolo disattento, ripetere e ritornare quel "Vedermi" in un "Vermi", felicemente rassegnarsi a correggere il corretto, ad innestarlo di errori.
Ma non solo: c'è anche dolcezza, c'è anche contraddizione, c'è anche mansuetudine; che meno si presta all'autofellatio di quell'estetica di rivoltoso figlio di famiglia bobo-bouje e dello champ-punk al-di-qua del principio di piacere. Sappiamo ridicole molte delle nostre ambizioni: proprio per questo le seguiremo fino in fondo. Solo agli incoscienti è dato il futuro, solo agli avventati la libertà.
Non vogliamo parole nuove per vecchie significazioni. Noi siamo legioni, mia cara, tante legioni; e questo gelato fa schifo al cazzo. Perché la controcultura è un concetto superato, una larga onda, lo spirito del mondo sul surf, che si è abbattuta e ritirata, lasciandosi alle spalle soltanto un mare di spuma e una classe dirigente bipolare che sfoga la sua ipocrisia con velleità sessantottine. Pasolini non ha mai avuto ragione, ma forse Labranca aveva torto: si fa bene a non scrivere più manifesti.
Non vogliamo avere opinioni, non vogliamo buoni proseliti, non vogliamo in verità sapere nulla; vogliamo proseguire ad ignorare precisamente ciò che ignoriamo. Anche i manifesti, appunto, che sono espressione di una certezza, ci sembrano così infelici! Una materia da pregare, plasmare ed abbandonare. Senza scrupoli. Masticare – Sputare. Vecchio già vecchio, fuoco alla muffa, niente raccoglimenti di eredità, vago citazionismo. Forse che dopo Dogma 95 debba venire Dogma Vista? Dogma già Visto, ma imperterriti cercheremo l'indre idiot, l'idiota interiore, e forse, finalmente, voleremo come quel Santo di Copertino, a noi prossimo, dimentichi della gravità; forse finalmente parteciperemo della Madonna. (Al presente lasciamo volentieri l'ateismo da liceo scientifico e le spiritualità new age: perché col cazzo che non ci andiamo in Mongolia; ci sembra che valga la pena tentare, che equivale a essere tentati).
Sappiamo di essere merce e vetrina di un mondo pantagruelico che si ingozza delle nostre giovanili ribellioni letterarie, del nostro futuro cadaverizzato, presto museo, già rappresentazione, simulacro, crocefissione. Tu quoque, punk. Per questo lo rifiutiamo. Per questo ci trinceriamo. Abdichiamo il reale. Abitiamo gli sconfinati orizzonti della creazione mostruosa, ambendo al divenire senza Storia, al pensiero senza dottrina. Ma, secolo di morti senza nascite, di barborigmi di carogne, anche il mondo moderno, terrificante, immenso, scomparirà. Vertebra abita questa metastasi. Sotto le macerie del presente è forse più facile piangere di gioia.
Non tolleriamo mediazione: aborriamo l'inflazionata pratica della rivolta ponderata, della inosservanza fedele al testo come dell'avanguardismo insoluto: noi abbiamo fede, fede nell'irreale che travolgerà la storia. Nel suo senso più forte, l'anima anarchica del mondo, la cui entbergen è la metamorfosi, è l'unica garante della nostra libertà, come resistenza all'egemonia dell'utile e della ragione.
Non vogliamo offrire soluzioni. Nella nostra rassegnazione vogliamo solamente dirci avvertiti: se ci avvilissimo faremmo il gioco dei "padroni". La nostra risposta ad ogni diagnosi non può essere altro che un grasso, transitivo ridere la verità della trasformazione, della trasformazione come unica forma di vita e di libertà. Ció che più è vivo é ciò che più si trasforma, ma solo a patto che si tengano ben salde le radici nella terra, nell'origine, nella periferia del reale; fuor di territorio, fuor di storia, fuor di rappresentazione, per scongiurare il rischio baustelliano di passare dal Sussidiario a Baby K. Allora che rimane? Si può solo dire nulla; la follia è opinione, la terapia è potere.