qualche citazione colta, in un flegma virulento che vuole espandersi usando la propria storia per assicurarsi una target audience, abbattendo gli anticorpi della sua diffidenza dichiarandosi “terra terra”, amatoriale, vero & vivo; come se l’amatorialità, lo sporco e l’imperfezione non fossero significatori estetici proprio del prodotto più tipicamente tardocapitalistico. Certo, essere avvertiti di un male non equivale a scongiurarlo, e la strada per l’inferno si sa di cosa è famosamente lastricata. Non sorprenderà allora che un manifesto, un “chi siamo” di fatto ce l’abbiamo, perchè in quanto parvenous di questa faccenda di poteri che è la creazione, come ogni venuto, veniamo da qualche parte - foss’anche soltanto corpi, foss’anche vero che nulla accade mai e niente davvero si muove. Il manifesto, di sabbia come le mani senza scheletro che lo impastano e le gole vuote davvero che lo rigurgitarono, è in fondo alla pagina. Gli appongo, in questo minuto flebile e sterile di alcuna creatività, due versetti dolci che forse lo potrebbero racchiudere ed esaurire:
“Preferisco […] vulcani spenti, paludi revocate, tutto quello che non ha più da dire la sua, tutto quello che ha rinunciato a dire la sua contro l’inutilità assoluta del lottare” (Antonin Artaud, Storia tra la gromma e dio).
E una sua contraddizione, o continuazione, in Dàvila: “Qualunque cosa ci esalti, ci redime” (Escolios a un texto implicito).
Sorprenderanno forse queste due epigrafi; esse non vogliono giustificare nè risolvere, e neppure problematizzare. Cosa sosteniamo, davvero? Nulla, forse, se non una domanda vaga e però pertinace: perchè fare quello che facciamo? Perchè non rassegnarci alla rassegnazione, come postura esistenziale? E, ad ultimo, nel crepuscolo in cui si incrociano gli attegiamenti colpevoli, le presunzioni, i vagheggiamenti, in cui i rumori dei corpi ricadono sulle mediocrità che li inciampano, potremo chiederci, al termine di questa valanga, senza banalità nè compromessi, chi siamo, e in luogo o in segno di cosa? Perchè in effetti, in un suo certo senso, il domandare è più difficile del rispondere.
Chi siamo? Non so se valga la pena dirlo, se valga la pena affaticarsi, in un momento di debolezza, all’affratellamento con questa o quella identità patibolare, mediata magari da
Vertebra Magazine Numero 0 ©️ 2023 by Davide De Benedictis, Giordano Bruno Rizzo, Andrea Cardinale, Alberto Francesco Belli is licensed under CC BY-NC-SA 4.0
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